mercoledì 27 agosto 2014

Cultura fotografica : Kevin Carter, 1993

Raramente ad una foto viene dato un titolo, questa è una di quelle rare eccezioni ed il titolo era : l’avvoltoio e la bambina.

Forse già il nome ha fatto scattare qualche ricordo nelle persone, è una immagine famosa e molto dibattuta sia all’epoca in cui venne scattata che in seguito.

Il fotografo si chiamava Kevin Carter, un giovane trentenne che forse vide e fotografò più di quanto il suo cuore poteva sopportare. Era il 1993 e Carter si trovava in Africa per seguire gli scontri nel Sudan e le carestie che in quel periodo stavano letteralmente uccidendo di fame la popolazione già stremata dalla guerra civile. Carter conosceva i componenti del Bang Bang Club e con loro aveva condiviso diversi reportage ma lo scatto che gli valse il Pulitzer lo fece da solo quando, durante uno dei suoi viaggi all’interno del paese, si trovò davanti una bambina ridotta a carne ed ossa accovacciata a terra con alle spalle un avvoltoio che in silenzio attendeva il momento del pasto.

Carter dopo lo scatto allontanò l’avvoltoio ma rimase profondamente turbato dalla scena appena congelata, una scena che fece il giro del mondo, che scaldò molti cuori e fece versare molte lacrime di compassione ma che gli portò anche problemi e invidie da parte dei colleghi che lo accusavano di essere insensibile e alcune volte anche d’aver costruito ad arte la foto.

Un anno dopo Carter si suicidò con il monossido di carbonio lasciando una breve lettera in cui diceva di essere perseguitato dai ricordi di ciò che aveva visto.

 

Personalmente ritengo che la storia di Carter sia un esempio eloquente di come il lavoro del fotografo può intaccare profondamente l’anima. Andare a fare reportage vuole dire anche rimanere estranei agli avvenimenti, lasciare che seguano il loro corso cercando solo di coglierne l’essenza per riportarla al resto del mondo. Deve essere dura vedere persone, bambini che muoiono di fame, fotografarli e poi la sera andare a cena in hotel, se si chiude lo stomaco a me ora guardando questa foto non riesco a immaginare ciò che poteva provare lui ogni volta che chiudeva gli occhi.

Sicuramente il suo suicidio è stato il risultato finale di tanti fattori ma sono certo che i viaggi in Africa hanno contribuito non poco a far crollare una persona evidentemente troppo sensibile per quel tipo di lavoro.

 

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